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30.11

L'EUROPA RAFFORZERÀ LA SUA DIMENSIONE FORMATIVA?

 

IL ROMANZO E LA STORIA

Alexander Langer

Alessandro Leogrande

1 Aprile,1995

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Riserve nazionali da superare, una dimensione europea da rafforzare oltre i semplici scambi 

"Forse abbiamo sbagliato a puntare in primo luogo sull'Europa dei mercati, ed avremmo dovuto scegliere come priorità l'Europa della cultura": difficile capire se si sia trattato di tardiva resipiscenza o della civetteria intellettuale di un presidente sulla soglia del congedo. Ma la frase di François Mitterrand, nel suo solenne discorso del 17 gennaio 1995 al Parlamento europeo, indica chiaramente un deficit dell'Europa comunitaria oggi largamente avvertito - anche da chi guarda all'Unione dall'esterno, e con speranza. Vaclav Havel, presidente e scrittore ceco, un anno primo, aveva parlato nella stessa aula di un'Europa che appare senz'anima, letta attraverso le clausole del trattato di Maastricht ed i regolamenti pignoli degli eurocrati.

Ed è vero: sulla cultura, l'istruzione, l'educazione, la scuola... l'Unione europea arriva tardi, e con mille circospezioni. Innanzitutto perché si tratta di uno degli ambiti in cui la sovranità nazionale (e, in certi Stati membri, anche dei Länder) viene più gelosamente custodita e difesa, per sottolineare che l'integrazione europea non si prefigge il melting pot, il calderone che fonde e confonde culture e diversità, ma opta piuttosto per la pari dignità e la salvaguardia del ricco patrimonio di differenze culturali, linguistiche, etniche. Così è avvenuto che si sono avvicinate assai più le legislazioni sulle misure di bottiglie e cartocci di latte e vino, sui valori-limite all'inquinamento tollerabile o sugli acquisti a rate che non su scuola, formazione, istruzione, università, addestramento professionale, e così via. Giusto l'apprendimento delle lingue e programmi di scambio di studenti ed insegnanti hanno qualche tradizione consolidata nell'insieme dello strumentario della Comunità europea. E non è un caso che i ministri europei della pubblica istruzione si siano riuniti assai più di rado in sede di Consiglio europeo che non i ministri dell'agricoltura, delle finanze o dei trasporti.

1988: La "dimensione europea nell'educazione"

Nel 1988 viene definitivamente approvata -- dopo le proposte della Commissione ed il parere del Parlamento europeo -- una risoluzione del Consiglio europeo dei ministri che lancia la "dimensione europea nell'educazione" (88/C 177/02, 24.5.1988): l'intesa tra gli europei richiede la conoscenza delle lingue e lo scambio di giovani tra i paesi europei, ma anche il rafforzamento di un senso di identità europea, la conoscenza e la comprensione dei valori della civiltà e delle civiltà europee, la preparazione ad un futuro di sempre più intensa cooperazione ed integrazione. Le azioni, che si articolano in un primo programma per il periodo 1988-92, prevedono che gli Stati nazionali valorizzino la dimensione europea nei loro programmi scolastici, preparino materiale didattico in proposito, utilizzino in particolare discipline come letteratura, geografia, storia, lingue, scienze sociali, economia e le disciplina artistiche per questo obiettivo e dedichino grande attenzione alla formazione degli insegnanti in quel senso. Anche l'informazione sui reciproci sistemi educativi, la messa a disposizione di documentazione, l'apertura delle scuole a un certo numero di insegnanti provenienti da altri Stati membri, vengono viste come utili impulsi all'integrazione ed alla promozione della dimensione europea dell'educazione. Naturalmente anche in quest'ottica gli scambi di persone (insegnanti e studenti) assumono imporanza primaria, accompagnati da "misure complementari" come seminari e colloqui, gemellaggi di scuole, creazione di "club europei", impulso alla "giornata europea" nelle scuole, concorsi europei, sport, ecc.

A livello comunitario il Consiglio decise di promuovere la preparazione di materiale pedagogico, programmi rivolti agli insegnanti come ARION (soggiorni di studio per esperti in pedagogia), ERASMUS (soggiorni all'estero, per studenti che si preparano all'insegnamento), intensificazione della coperazione tra autorità nazionali che si occupano degli scambi e tra istituti di ricerca in materia di educazione, istituzione di un gruppo di lavoro sulla "dimensione europea nell'educazione".

Come si vede, ci si avvicina assai cautamente ad una più stretta integrazione sul piano dell'istruzione e dell'educazione: non tanto programmi e curricula simili o convergenti, quanto piuttosto iniziative di reciproca conoscenza e di rafforzamento di una certa "voglia d'Europa" nei sistemi scolastici ed educativi.

1991: azione pilota per partenariati multilaterali

Nel 1991 il Consiglio approva un programma di azione pilota di partenariati scolastici multilaterali nella Comunità, per incoraggiare ulteriormente la dimensione europea nell'insegnamento, migliorare le conoscenze linguistiche e culturali sugli altri paesi e perfezionare i metodi stessi usati nei gemellaggi (91/C 321/04, 25.11.1991). Si deve trattare di programmi con scuole di almeno tre Stati membri, ad impostazione pluri-disciplinare, con carattere di reciprocità e di continuità, e possibilmente con aspetti di innovazione pedagogica. In questo quadro si prevedono scambi di insegnanti, corrispondenza tra alunni, scambi di alunni, e ci si propone di valutarne gli esiti due anni dopo (nel 1994). Fin dal 1989 si era aperta un'Università estiva a Nimega (Hogeschool Gelderland, Nijmegen) per la preparazione di formatori di insegnanti, e si rileva la necessità di costituire una rete di istituzioni formative coinvolte in questi programmi: RIF (Réseau d'Institutions de Formations) ne diventa la sigla, e dopo tre anni di attività ne è risultato un complesso sistema di reti e sub-reti (tematiche: in Italia si coordina, ad esempio, la rete sulla dimensione europea riguardo agli alunni handicappati o con difficoltà di apprendimento). 220 istituzioni formative o universitarie si raggruppano ormai in 16 reti tematiche, e due incontri annuali tra i coordinatori assicurano lo scambio di esperienze. Almeno 1000 insegnanti e circa 7000 studenti (da 6 a 18 anni) sono stati coinvolti attraverso 40 esperienze di partenariato con un totale di 160 scuole negli anni scolastici 1992-93 e 1993-94. La "Task Force Human Resources" ne cura la promozione e la verifica. Ma l'esiguo importo finanziario (ca. 3 milioni di ECU nel 1994) fa capire la relativa marginalità di questa importante azione nell'insieme delle politiche comunitarie.

1994: il programma SOCRATES, notevole passo in avanti

Un notevole sviluppo ulteriore è risultata l'adozione del programma SOCRATES nella più riunione del Consiglio europeo, in data 18 luglio 1994, dopo che la Commissione aveva presentato in febbraio la sua proposta ed il Parlamento ne aveva deliberato in aprile. Con SOCRATES si intende fornire un contributo ad una formazione generale di alta qualità ed alla cooperazione europea nel campo dell'educazione: si va oltre la mera dimensione dello scambio di esperienze o di persone, ed anche oltre il gemellaggio o partenariato. Pur senza volere (o potere) armonizzare contenuti o metodi didattici, si progredisce sulla strada della formazione inter-culturale, comprendendovi non solo l'Università, ma anche la scuola e l'insegnamento a distanza. Un programma di cinque anni (1995-1999) vuole estendersi in tre ambiti principali: Università (ERASMUS), scuola (COMENIUS), misure inter-settoriali (LINGUA, per le conoscenze linguistiche) e scambio di informazioni ed esperienze (compresi i programmi EURYDICE e ARION), e con un bilancio notevolmente più consistente, che per il 1995 prevede 169 milioni di ECU.

Uno spazio europeo educativo senza confini?

Per la prima volta si parla esplicitamente della graduale creazione di uno "spazio europeo educativo senza confini", che si vorrebbe promuovere attraverso azioni comuni sia nella formazione generale che nella formazione professionale. Gli obiettivi da raggiungere sono il sostegno alla dimensione europea nelle istituzioni universitarie, la mobilità fisica ed intellettuale degli studenti ed insegnanti, il rafforzamento di reti inter-universitarie europee, la cooperazione ed il partenariato tra scuole, la consulenza ed assistenza scolastica a bambini di migranti e nomadi, l'aggiornamento degli insegnanti (anche di quelli impegnati nella formazione degli adulti e nell'insegnamento a distanza), la conoscenza delle lingue (compresa la mobilità degli insegnanti di lingue), l'insegnamento a distanza, lo scambio di informazioni ed esperienze tra gruppi interessati.

Naturalmente siamo ancora ben lontani da ogni idea di "scuola europea" (da affiancare, magari, in alcuni centri importanti alle normali scuole "nazionali" o "regionali") - escluse le scuole per i figli dei funzionari europei - ed anche dall'idea che magari alcune materie innovative potrebbero essere introdotte su scala europea e con un approccio comune: p.es. l'educazione ambientale o l'educazione alla tolleranza multi-culturale, o più in generale una comune formazione di insegnanti impegnati nell'educazione inter-culturale. Ma almeno con il trattato di Maastricht è stato inserito (agli artt.126 e 127) tra gli obiettivi generali della Comunità quello di "contribuire allo sviluppo di una formazione generale e professionale di alta qualità", superando quindi in minima parte quel monopolio nazionale sinora tanto gelosamente difeso.

Nei prossimi anni ci si può aspettare una notevole e rapida crescita d'importanza dell'aspetto formativo e culturale nell'azione europea. Dipenderà molto da tutte le forze in campo - dalle istituzioni europee (ed in particolare dalla pressione del Parlamento), dalle istituzioni sinora coinvolte nelle azioni pilota, dalle istituzioni nazionali, dall'apporto delle parti sociali, ecc. - se il previsto rafforzamento della dimensione europea nell'educazione verrà giocato principalmente sul piano della competitività di avanguardie altamente qualificate e capaci di concorrere soprattutto con Giappone e USA, o se viceversa si preferirà irrobustire un generale innalzamento del tasso di "coscienza e conoscenza europea" nei sistemi formativi, accompagnando e consolidando un processo di integrazione europea che oggi appare paradossalmente meno scontato e pacifico di quanto non lo sia stato negli ultimi 20 anni.

Per la rivista dell'Istituto Pedagogico della Provincia di Bolzano, marzo 1995

 

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8 Ottobre, 2012 

 

Quando spiffera il vento per le stradine di Otranto immerse nell’umido del mare e nelle chiacchiere della gente, è possibile ascoltare la voce dei personaggi di Maria Corti. L’ho pensato qualche settimana fa, passeggiando da solo per il centro della città idruntina, sollecitato dalla coincidenza di un doppio anniversario. Quest’anno ricorrono i dieci anni dalla scomparsa della scrittrice, e i cinquanta dalla pubblicazione per Feltrinelli del suo capolavoro, “L’ora di tutti” – circostanza ricordata in un’ottima sezione critica pubblicata sull’ultimo numero della rivista “l’immaginazione”, edita da Manni.

Ho riletto di recente il romanzo di Maria Corti e l’ho trovato un libro straordinariamente bello, soprattutto per i primi due terzi. “L’ora di tutti” racconta della presa di Otranto da parte dei turchi nel 1480, una tremenda mattanza che mietette migliaia di vittime passate a fil di sciabola. Ma quegli eventi, nel romanzo, costituiscono in realtà un fondale metastorico. Sulla scena ci sono soprattutto Loro, alcuni dei martiri le cui ossa e i cui teschi sono raccolti nella cappella della navata destra della Cattedrale. Sono alcuni di Loro – in un ordito in cui l’io narrante si fa io plurale, io corale sapientemente montato – a raccontare gli eventi, o meglio la propria prospettiva soggettiva in relazione a essi. Così quei morti che parlano da un luogo fuori dal tempo, raccontando le proprie passioni, le proprie paure, il loro orgoglio e la propria innocenza, diventano artefici di un coro triste e dolente. Nel suo essere metastorico e antirealistico, “L’ora di tutti” restituisce dei laceranti brandelli di vita. Si fa metafora di ogni assedio.

Prendiamo il personaggio del pescatore Colangelo, mandato insieme ad altri pescatori sulla mura della città a respingere l’assalto dei turchi. La descrizione – attraverso i suoi occhi e i suoi orecchi – dell’arrivo delle galee, delle bombarde, e soprattutto dell’urlo con cui i turchi si lanciano all’assalto (“una cosa tremenda, fuori dall’immaginazione, pure rimanendo un urlo”) è di una vividezza estrema, da togliere il fiato. Prendiamo lo splendido personaggio femminile di Idrusa e la sua vita difficile, tanto diversa da quella delle altre donne. Prendiamo il capitano Zurlo, quasi antesignano di una lunga schiera di eroi meridionali, tragici e lucidi di fronte all’implodere della Storia, l’unico consapevole fin da subito che resistere all’assedio è cosa vana e che questo presto si sarebbe concluso in un bagno di sangue. Il momento della sua morte, un attimo fulmineo come tutti i trapassi degli io narranti de “L’ora di tutti”, è forse uno dei passaggi più intensi del romanzo. Nel momento in cui gli invasori entrano dalla breccia che si sono aperti, Zurlo urla di mettersi in salvo. «“Correte nella cattedrale. Mettetevi in salvo.” Mentre ripetevo: “Salvatevi”, agitando in aria la spada, i turchi mi presero di mira, colpendomi al petto, e caddi a terra. Non sentii molto dolore, più che altro un gran colpo, mentre cadevo, cui seguì un annebbiarsi della vista. “Ecco com’è fatta la morte”, pensai, “ma non è una cosa tanto difficile. Mi pare che si possa proprio andare. Anzi, non è per niente difficile.”»

La caduta di Otranto fu un evento cruciale, condotto dalle forze ottomane di stanza a Valona, con il tacito assenso dei veneziani, cui in fondo non dispiacque il duro colpo inferto agli aragonesi. Secondo alcune fonti, i morti furono dodicimila. La storiografia recente è portata a ricondurre la tragica mattanza a una frattura geopolitica, frutto di un lucido scontro tra le potenze dell’epoca, più che a una sorta di guerra di religione. Eppure il suo esito fu, come narra la tradizione, e come ricorda Corti nel suo romanzo, lo sgozzamento di tutti coloro i quali non si convertirono all’islam. La città sarebbe stata ripresa dagli aragonesi solo l’anno successivo.

In un modo o nell’altro, è il sedimentarsi della Storia in questo angolo di Mediterraneo che Maria Corti prova a interrogare. Come se, attraverso occhi che non sono quelli turistici dei forestieri, scrostando la patina superficiale della modernità, sia possibile riconoscere quel passato nei volti, nelle parole, negli sguardi degli attuali otrantini. Ed è proprio l’entrare in empatia con Otranto e i suoi angoli nascosti che permette a Maria Corti di elaborare un racconto del sogno, o dell’oltretomba.

A cinquant’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione (ora e possibile recuperarlo nei tascabili Bompiani) e a dieci dalla scomparsa del suo autore, “L’ora di tutti” rimane un libro importantissimo nella letteratura del Novecento, un libro incredibilmente moderno con cui fare i conti. Un libro da leggere e rileggere come uno spartito musicale – opera imprescindibile per chiunque rifletta sulle forme della scrittura, sulle sorti del romanzo e sul peso della Storia, anche dopo il Novecento.

 

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© Minima&Moralia e in precedenza

© Corriere del Mezzogiorno

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